Quando sentiamo parlare di “storytelling” ci sentiamo come un bambino che ascolta la maestra leggere l’Infinito: non ci capiamo niente.
Un po’ per necessità professionale, un po’ per un sano sentimento di sadismo, i marketers ci raccontano di storytelling digitale senza farci capire fino in fondo di cosa parlano. Sembra un concetto estraneo, che viene da lontano come i re Magi. Beh, in effetti giunge da molto lontano, ma non da dove i guru del marketing vogliono farci credere (cioè da un altro pianeta); esso viene bensì dalle nostre origini: dalla preistoria.
Cerchiamo allora di capire, in maniera semplice, di cosa si tratta e come siamo arrivati allo storytelling digitale.
In questo articolo faremo un breve viaggio nella storia occidentale per scoprire come lo storytelling sia sempre stato al centro della cultura e della comunicazione, anche dei nostri antenati e dei nonni dei loro antenati. Ora, non vi promettiamo di diventare fini antropologi alla fine della lettura; né tantomeno storici dei mass media. Ma vi assicuriamo che vi sentirete degli scienziati perché avrete testato la legge della conservazione della massa: nulla si crea, nulla si distrugge perché tutto si trasforma.
Chissà perché, ad un certo punto, l’uomo di Neanderthal decise di raffigurare scene di caccia sulle pareti delle caverne. Noia? Vandalismo? Estro da interior designer? Crediamo di no. Fu una maniera – che potremmo definire istintiva – di rappresentarsi, di comunicare con gli altri e anche di augurarsi una buona caccia. D’altronde o così o con le parole, ma la scrittura era conosciuta come la soia a casa di una nonna calabrese. La parola giusta per definire questa iniziativa è “bisogno”: bisogno di parlare per immagini, di creare storie, di forgiare insomma un immaginario collettivo di vicende, personaggi e simboli da condividere con il resto della comunità; per trasmettere coraggio, forza e celebrare le proprie gesta. Questo è quello che chiamiamo storytelling.
Facendo un incredibile salto in avanti, attraversando la Mesopotamia e approdando alle rive del Nilo, l’uomo inventò finalmente le parrucche, la birra e la scrittura; anzi no: i geroglifici. Gli Antichi Egizi avevano un sistema di comunicazione scritta non basato sulle lettere da accostare, ma su immagini da combinare (come le emoticon). Al di là delle funzioni pratiche della vita quotidiana (recite religiose, contabilità, romanzi, canzoni, prescrizioni mediche, epistole e testamenti), i geroglifici dovevano tramandare la gloriosa memoria dei Faraoni ai posteri. Ovviamente non veniva fatto attraverso slogan, ma con la raffigurazione di episodi di vita, della discendenza divina e dell’eccezionalità del sovrano d’Egitto. Insomma: erano sequenze di immagini destinate a raccontare, a perdita d’occhio, il valore del Faraone. Se addirittura le tombe dei sovrani dovevano essere ricoperte da geroglifici che ne presentassero il valore per essere ammessi nell’aldilà da Ra & Company, evidentemente raccontare era una delle azioni più ricorrenti e significative e – soprattutto – solenni nella cultura egizia. E questo avveniva solamente per immagini.
Altro che visual storytelling.
Rimanendo in tema di storytelling e grandi civiltà, è forse superfluo citare Iliade ed Odissea. Le due pietre miliari della letteratura occidentale, da cui chiunque sia venuto dopo ha “dovuto” trarre ispirazione, sono capolavori di storytelling. Omero riuscì a condensare in due racconti (più coinvolgenti di qualunque partita della nazionale) tutta la storia, la divinità, l’etica, le passioni e i sentimenti umani. Il nostro destino sui banchi di scuola sarebbe potuto diventare decisamente più pesante se Omero non avesse avuto un talento innato per l’entertainmnent (che ahinoi non aveva di certo ereditato la prof di letteratura).
Per non parlare dei Romani, che meritano un articolo a parte.
Sfogliando un altro volume dell’enciclopedia Key Associati, arriviamo al Medioevo e ai cantastorie. “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese” cantava Ariosto. Ma prima di lui intere schiere di poeti e cantori giravano di corte in corte intrattenendo i feudatari con le loro cetre. Le rime tramandate di musico in musico prendevano spunto dalla storia passata, dalle guerre, dalla cronaca, dalla fantasia e dai pettegolezzi. Uno storytelling orale che ammaliava delicatissimi banchetti a base di piccione. E così cavalieri coraggiosi, donzelle in difficoltà, prove di coraggio, giostre, ricchi premi e cotillon divennero gli ingredienti alla base di qualunque racconto scritto che ancora oggi ispira i classici Disney.
Arriva il Rinascimento e i quadri raccontano la vita di corte. I mecenati richiedono le scene di caccia, i banchetti, gli interessi del principe e i vezzi della nobildonna. I bambini diventano putti e le dame diventano grazie. Lo storytelling vuole trasmettere un solo significato: sono tornati gli Antichi Greci. E poi arrivano gli Impressionisti che non vogliono più raccontare storie, ma solamente il momento, la sensazione. Diciamo che da questo punto in poi l’arte si ribella, si rifiuta di rappresentare figure riconoscibili e quindi qualunque significato narrativo. Insomma: non c’è uno storytelling nell’arte contemporanea, ma uno, nessuno e centomila.
I fratelli Lumiére un giorno si sono messi in testa di terrorizzare una platea intera, facendo morire di crepacuore giovani fanciulle. Decisero di filmare l’arrivo di un treno in stazione. Oggi un panico simile non l’avremmo neanche se scoprissimo che l’Apple Store svende tutto. Ma il punto è che il cinema ha stravolto radicalmente il modo di fare storytelling e quindi le tecniche per coinvolgere le persone. Noi siamo figli di quella rivoluzione. Soggettive, semisoggettive, piani sequenze e dissolvenze sono strumenti che manipolano la percezione degli spettatori. L’industria cinematografica ha cambiato per sempre il modo di costruire e percepire le storie raccontate: non sono solamente una logica sequenza di scene, ma un miscuglio di sensazioni, echi ed emozioni. Qui comincia la storia dello storytelling digitale.
E che dire poi della propaganda? Il Novecento è stato il secolo delle ideologie. Soprattutto i totalitarismi avevano bisogno di instillare negli animi il convincimento di essere destinati a grandi cose, di essere gli eletti. La propaganda serviva a raccontare ai popoli la propria grandezza e la barbara pochezza dei nemici, a trasmettere la titanica prospettiva di un dominio sul mondo. Immaginari collettivi fatti di storie amplificate, parole scelte, immagini studiate e particolari (anche sostanziali) omessi. I protagonisti indiscussi di questi storytelling superomistici non serve neanche nominarli, talmente funzionarono le strategie narrative. Gli strumenti di questi indiscussi capolavori comunicativi furono il cinema e la radio.
Ma la grande svolta arriva con la televisione. Oltre a guardare Mike Buongiorno, i nostri nonni possono finalmente godersi le storie e fantasticare seduti sul divano. Il mondo del commercio ha l’occhio lungo e capisce che può entrare nelle case dei consumatori. Come? Creando aspettative, desideri e racconti intorno ai propri prodotti (riescono perfino a rendere invitante la carne in scatola). Ma, ovviamente, gli spazi pubblicitari e l’elaborazione di campagne creative sono alla portata solamente di grandi colossi.
Con la diffusione di Internet ecco un nuovo salto acrobatico, vertiginoso, in avanti. Tutti i brand possono trovare il proprio spazio nell’etere e raccontare la propria storia e i propri valori. Siti web, blog, forum, Youtube e social networks permettono di raggiungere milioni di utenti ogni giorno, attraverso diversi devices, e di raccontare il proprio brand attraverso contenuti multimediali. Ma è proprio qui che si insinua la sfida attuale: come emergere nel mare magnum delle notizie sul feed? Siamo in un’epoca visual in cui i video sono il formato che attira maggiormente l’attenzione e i video emozionali sono quelli che creano più engagement. Stupire, coinvolgere e personalizzare sono le parole chiave per lo storytelling digitale. Il mobile è oggi il dispositivo più impiegato, per questo lo storytelling digitale non può che ampliare la propria prospettiva integrando funzionalità proprie del mezzo (come la geolocalizzazione o l’uso di app). Ma anche i social offrono grandi spunti per rendere il racconto sempre più interattivo; sfruttare chatbot e stories, ad esempio, sono ottimi trucchetti per mettere l’utente al centro dello storytelling.
Insomma, l’avvento del web e la comparsa dei social network rappresentano l’ultimo giro di giostra di un carillon che ha cominciato a girare quando l’uomo inventò la ruota. La forza centrifuga diventa sempre più vertiginosa negli ultimi tempi e l’evoluzione della comunicazione sempre più serrata. Stiamo vivendo un nuovo anno 1000, ma questa volta non rimarremo con le mani in mano in attesa della fine del mondo, anzi.
Noi di Key Associati continueremo a pedalare verso il futuro con il nostro blog.
Anno Domini 2018 (quasi 2019).
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