Come d’Annunzio lanciò su Vienna volantini nazionalistici contro l’impero austro-ungarico, così Google (in maniera decisamente meno spettacolare, guerrafondaia e superomistica, ma forse più efficace) ha deciso di fare propaganda contro la nuova legge europea copyright con una pioggia di prime pagine. Ecco di cosa stiamo parlando.
La legge europea copyright ha allarmato i giganti del web che indicizzano e ridistribuiscono informazioni a milioni di utenti ogni giorno. Google è ovviamente in prima fila sul patibolo, insieme ai social networks, ma ha deciso di far sentire la sua gigante voce.
Negli ultimi giorni si è diffusa la notizia che la grande G sta acquistando la prima pagina delle più importanti testate europee per ricordare a tutti l’importanza della libertà e del pluralismo dell’informazione.
Ma facciamo un passo indietro.
Il 12 settembre 2017 il Parlamento Europeo ha approvato in seduta plenaria una direttiva di legge in merito al diritto d’autore, rivista rispetto alla prima versione presentata e respinta a luglio sempre a Strasburgo. Sebbene tutti fossero d’accordo sul bisogno di aggiornare le norme europee ferme al 2001 (quando internet funzionava in maniera evidentemente diversa), la proposta di luglio aveva acceso un incredibile dibattito tra legali, attivisti, piattaforme web, testate giornalistiche, gruppi editoriali e imprese del mondo dell’intrattenimento. Tra provvedimenti rischiosi per la libertà di circolazioni delle informazioni e passaggi ambigui, la maggioranza dei parlamentari aveva richiesto di ridiscutere la direttiva. Due gli articoli più controversi, 11 e 13, dei quali a settembre il Parlamento Europeo aveva infine concesso l’approvazione. Ed è proprio in merito al numero 11 che Google ha deciso di intraprendere la propria operazione propagandistica.
Riguarda il rapporto tra editori e piattaforme online. I primi rivendicano da tempo lo sfruttamento dei propri contenuti su internet ad opera di motori di ricerca e social networks senza un adeguato compenso. Questi ultimi ribattono invece puntualmente di fare gli interessi dei gruppi editoriali assicurandogli un traffico altrimenti inottenibile. Tuttavia, la nuova legge europea copyright continua a favorire gli editori piuttosto che le piattaforme internet in quanto impone ad ogni stato membro di assicurarsi che gli editori ricevano compensi adeguati da parte di fornitori terzi di servizi all’informazione che indicizzano e ridistribuiscono i contenuti di proprietà degli stessi gruppi editoriali; per l’appunto i colossi del web. L’articolo 11 riguarda proprio le grandi aziende di internet e non l’utilizzo privato dei link o il loro impiego non commerciale. Per questo Wikipedia non è coinvolto da questo provvedimento.
Ecco allora la decisione di Google, il paradosso: un gigante dell’informazione e della pubblicità online che decide di acquistare le prime pagine cartacee per rivendicare la propria posizione. La grande G parte dalla considerazione che è indispensabile proteggere il lavoro della stampa e l’autonomia nell’informazione, ma riconosce come la direttiva europea sarà foriera dell’effetto opposto, limitando la quantità di informazioni e fonti accessibili attraverso motori di ricerca e sistemi di aggregazione online.
Infatti, l’imposizione di un compenso “equo” (cioè indipendente dalla rilevanza di quella fonte per gli utenti) a fronte dell’utilizzo dei contenuti di un editore potrebbe portare un qualunque Google a decidere di pagare solamente un manipolo degli editori più convenienti. E quali verrebbero selezionati? I più letti ed influenti. E quale sarebbe la conseguenza? Il grande valore pluralistico dell’informazione online rischierebbe di tornare ad essere appannaggio di pochi, meno libera e più influenzabile da forze politiche o economiche.
Certamente a fare la ramanzina e ad innalzarsi a grande difensore di un valore inalienabile per la civiltà occidentale è un colosso americano che fa gli interessi propri e dei suoi azionisti, ma ha certamente esposto un punto di vista condivisibile e che apre la mente a giuste riflessioni; come magari all’opportunità di rimettere ai singoli editori la scelta di ricevere o meno il compenso per decidere se dare la possibilità, ai propri contenuti, di raggiungere un pubblico assai più ampio piuttosto che contando solamente sulle proprie forze.
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